Ballando Ballando

In programmazione: 11/09/2008

Descrizione

1983.
Donne ed uomini entrano separatamente in una sala da ballo della periferia parigina.
Hanno inizio le danze precedute dalla ricerca dei partner.
Con un flashback si passa al 1936 e nello stesso locale si succederanno persone e situazioni scandite dagli anni (1940/1945/1956/1968) per poi tornare al presente.
Scola gira un film che per voglia di sperimentare potrebbe essere paragonato al suo Trevico-Torino … Viaggio nel Fiat-Nam di dieci anni antecedente.
Non perché i temi siano gli stessi, ovviamente, ma perché identica è la spinta di ricerca verso un
modo di fare cinema che sia innovativo ma non sterile. La fonte di ispirazione è uno spettacolo del 1980 del Théâtre du Campagnol.
Il passaggio dal palcoscenico allo schermo non era privo di rischi perché tutta la capacità di coinvolgimento è data dalla musica e dalle performance fisico-mimiche degli attori e se a teatro sussiste una forma di interazione tra pubblico e interpreti questa al cinema si perde.
Scola riesce però a fare delle canzoni e dei brani musicali (in gran parte francesi per collocazione delle vicende e per esigenze di coproduzione) l’elemento di contatto con il pubblico più vasto a cui propone non solo in viaggio nel tempo ma una riflessione sul rapporto tra la vita di ognuno e i grandi sommovimenti storico-sociali.
Dalla Francia colta il giorno della vittoria del Fronte Popolare si passa alla Seconda Guerra Mondiale per poi giungere alla liberazione a cui faranno seguito la guerra in Indocina, il conflitto in Algeria e i tempi del Maggio.
Il tutto attraverso il ballo e l’unità di luogo di una sala che si trasforma per accogliere apparentemente nuove, ma in gran parte ritornanti, esigenze e passioni.
Scola non manca di inserire omaggi al cinema (da Gabin alle riviste come “Cinévie”) ma è all’inizio e alla fine del film in cui dichiara ciò che più gli sta a cuore: la profonda tristezza per la solitudine esistenziale che attanaglia la vita dei suoi contemporanei.
Quei volti e quei gesti che il cinema può cogliere in dettaglio testimoniano di una sorta di coazione a ripetere di sguardi, avvicinamenti, corteggiamenti privi di qualsiasi vitalità in cui ognuno è ripiegato su se stesso e cerca di sopravvivere al proprio vuoto interiore. Alcuni dei bravissimi attori si trasformano così in personaggi che ricordano (pur conservando una loro originalità) quelli dell’amico Federico (Fellini).


Carrington

In programmazione: 04/09/2008

Descrizione

Inghilterra 1915.
Dora Carrington, giovane pittrice anticonformista, incontra Lytton Strachey, scrittore pacifista ed omosessuale.
Tra i due nasce una tormentata, ma intensa e platonica relazione

sentimentale.
La loro storia, fatta di complicità, di appassionate discussioni sull’arte e sulla cultura, tra i
matrimoni dell’una e le avventure gay dell’altro, durerà fino al 1932, anno della morte di Strachey ed anche della tragica fine di Dora.
Diretto da Christopher Hampton, già abile drammaturgo, che esordisce dietro la macchina da presa, conducendo con efficacia gli ottimi Emma Thompson e Jonathan Pryce.


Caramel

In programmazione: 28/08/2008

Descrizione

A Beiurut, alcune donne lavorano in un istituto di bellezza: Layale (Nadine Labaki), innamorata di un uomo sposato, Nisrine (Yasmine Al Masri), che sta per sposarsi e non sa come dire al futuro sposo che ha già perduto la verginità, Rima (Joanna Moukarzel), che non riesce ad accettare di essere attratta dalle donne, Jamale (Gisèle Aouad), ossessionata dall’età e dal fisico, e infine Rose (Siham Haddad), che ha sacrificato i suoi anni migliori e la sua felicità per occuparsi della sorella Lili (Aziza Semaan). Nel salone, tra colpi di spazzola e cerette al caramello, si parla di sesso e maternità, con la libertà e l’intimità propria delle donne.
Nadine Labaki, insieme protagonista e regista del film, ci propone un affresco sulle donne, che non mancherà di andare dritto al cuore delle spettatrici, ma non solo. Un acquerello a tinte delicate, mai volgari, che tratta però temi di scottante attualità: la guerra, la convivenza tra cristiani e musulmani, il mischiarsi di abitudini ed etnie differenti. Stupiti, contempliamo come i problemi del mondo femminile siano sempre gli stessi, anche se il progresso sembra essersi fermato agli anni ’80. Le donne fanno scudo, insieme, per affrontare le difficili realtà da cui sono circondate ed assalite.
Con colori e fotografia degni dei pittori fiamminghi, Labaki poggia lo sguardo sulle dolci malinconie quotidiane, senza cadere nello scontato o nello stucchevole, e riuscendo a raccontare ben sei storie in una sola, senza che nessuna prenda il sopravvento. Narra attraverso gli occhi, i suoni, gli odori, in modo così pregnante da convincerci di poter toccare e assaporare, come se fossimo realmente immersi nell’atmosfera della ben bilanciata sceneggiatura.
Una parola a parte va indubbiamente spesa per la colonna sonora, dosata con saggezza, sempre presente e non stancante, che non mancherà di far ricordare il suo autore, Khaled Mouzanar.


Il velo dipinto

In programmazione: 14/08/2008

Descrizione

Kitty, una giovane donna della borghesia inglese in età da marito, sposa Walter Fane, un medico specializzato in batteriologia che nutre per lei un sentimento profondo.
Dopo il matrimonio, contratto per compiacere la madre, Kitty si trasferisce con Walter a Shangai, dove, annoiata, cede alle lusinghe di sir Charles Townsend, vice console maritato e padre di due figli.
L’adulterio viene presto scoperto da Walter che,ferito, decide di rivalersi conducendo la moglie al villaggio di Mei-tan-fu colpito da un’epidemia colerica.
L’isolamento forzato e le condizioni di morte e miseria in cui versa la gente del villaggio, costringono Kitty a un esame di coscienza che getta sul marito una luce nuova.
Commossa dall’amorevole dedizione con cui Walter giorno e notte assiste i malati, Kitty decide di
appoggiare la sua missione e di rendersi utile in ospedale.
In quel luogo sperduto impareranno ad amarsi e a perdonarsi.
I romanzi di Maugham, scrittore britannico morto nel 1965, sono stati per anni la magnifica ossessione di Edward Norton.
La sua scelta è poi ricaduta su “Il velo dipinto”, già trasposto sullo schermo nel 1934 da Richard Boleslawski e interpretato, nello splendore del bianco e nero, da Greta Garbo.
Il risultato è un film delicato che restituisce allo spettatore l’esperienza di una lettura diretta del libro, a cui rimane fedele, almeno nelle atmosfere e nei dialoghi.
A cambiare, fino a stravolgere il senso della storia, è l’epilogo, per il quale lo sceneggiatore
Ron Nyswaner sceglie la più facile soluzione della riconciliazione spirituale e fisica della coppia. Se il punto di osservazione, assunto dal romanziere e dallo sceneggiatore, è lo stesso (quello di Kitty), la differenza sta nel modo di intendere il suo personaggio, che nel film viene indagato non tanto per le sue caratteristiche psicologiche e sociali, ma in base alla funzione che svolge nello sviluppo del racconto.
La Kitty letteraria, calata perfettamente nella Cina inglese degli anni ’20, è portatrice inquieta di una drammatica disparità, è un “accessorio” di famiglia da emancipare attraverso il matrimonio. I suoi viaggi, quello geografico e quello interiore, la condurranno principalmente alla scoperta di sé. La rivelazione del suo essere, niente affatto consolatoria, non fa che riconfermarle la sua vocazione all’egoismo e all’individualismo.
La Kitty di John Curran, certamente più moderna e meno greve del suo doppio letterario, risolve a letto i veleni coniugali e certi vizi morali.
Il regista canadese conferma Naomi Watts e torna a “giocare coi grandi” all’adulterio come conseguenza del tedio esistenziale e della caducità della passione coniugale. Su una cosa regista e scrittore sono d’accordo: l’infedeltà non comporta necessariamente la rovina. Basta s-velarsi e trovare la strada del perdono.


La rosa bianca – Sophie Scholl

In programmazione: 07/08/2008

Descrizione

Il 17 febbraio del 1943, quando il governo tedesco dichiarò caduta e perduta Stalingrado, un gruppo di studenti dell’università di Monaco si convinse che la fine della guerra fosse ormai prossima.
Otto mesi di bombardamenti continuati e le numerose perdite di soldati sul fronte orientale accrebbero
l’ottimismo e l’euforia del movimento di resistenza studentesco de La Rosa Bianca.
I tempi e il popolo tedesco erano maturi per il loro sesto volantino rivoluzionario.
Furono i fratelli Scholl, Hans e Sophie, a offrirsi volontari e a immolarsi, ignari, per la causa. Quella mattina di febbraio centinaia di volantini di denuncia contro i crimini nazisti vennero disseminati lungo i corridoi degli atenei. Un gesto azzardato che divenne il loro punto di non ritorno: sorpresi da un sorvegliante, furono interrogati dalla Gestapo, processati dalla Corte Popolare di Giustizia e condannati alla ghigliottina in soli cinque giorni.
I fratelli Scholl, così come tutti i membri della resistenza che nei mesi successivi furono rintracciati e indagati, “peccarono” di entusiasmo: all’epoca dei fatti nessuno di loro avrebbe potuto prevedere che la guerra sarebbe durata ancora due anni, ma soprattutto nessuno di loro capì quanto lontani fossero i tedeschi dal prendere coscienza dell’orrore del quale finirono per essere complici. Alcuni testimoni raccontarono il lungo applauso che accolse il ritorno in accademia del sorvegliante
delatore.
La storia de La Rosa Bianca e dei fratelli Scholl non è nuova al cinema tedesco, il regista Marc Rothemund è stato preceduto negli anni Ottanta da due connazionali, gli autori Percy Adlon e Michael Verhoeven.
Questa volta però ci troviamo davanti a un’opera con un diverso respiro e con una diversa storia, che
prende avvio ed è favorita dal ritrovamento di documenti inediti conservati per decenni negli archivi della Germania Est e resi pubblici soltanto nel 1990.
A partire dai verbali originali degli interrogatori e dalle numerose testimonianze, come quella della compagna di cella Else Gebel, Rothemund costruisce un film dove il 90% delle parole e delle azioni sono autentiche, riservandosi soltanto in due occasioni di sviluppare una sua verità.
Nelle opere precedenti Sophie finiva per perdersi e confondersi nel gruppo, nel coro studentesco.
Qui, al contrario, ogni movimento della macchina da presa, ogni piano è per lei, per la sua figura esile e tragica, portatrice sana, come Antigone, di amore fraterno e di coraggio civile. A incarnare il sacrificio di Sophie è il talento di Julia Jentsch, sola davanti alla macchina da presa che lascia sullo sfondo bandiere e divise.
Dentro resta soltanto il volto di una ragazzina che raggiunge la maturità nel tempo fugace di una canzone di Billie Holiday.


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