Il silenzio

In programmazione: 06/05/1999

Descrizione

Le sorelle Ester ed Anna sono in viaggio in treno di ritorno dalle vacanze estive. Con loro c’è anche un bambino, Johan, figlio di Anna. A causa di un malore di Ester debbono scendere alla prima stazione e cercare alloggio in un albergo in cui però il personale parla una lingua sconosciuta e sembra non essere in grado di comprenderne altre. Intanto Johan incontra un gruppo di nani che lo fanno partecipare ai loro giochi travestendolo anche da bambina. Mentre Ester cerca di riprendersi in hotel Anna va al cinema e si accorge che nessuno in città prova alcun interesse per ciò stanno facendo gli altri. Prima di poter ripartire tutti e tre i protagonisti verranno coinvolti in esperienze inattese.
La dimensione che domina nel film è indubbiamente onirica ma in questo contesto Bergman continua a perseguire la ricerca di un se stesso che avverte come sdoppiato. Cosa rappresentano le due sorelle se non i suoi due volti? Da un lato quello dominato dall’egoismo, dalla sensualità, da una ricerca instancabile dell’indipendenza di Anna. Dall’altro quello di una personalità dominata dall’intelletto ma al contempo indebolita da una strana malattia che la costringe a riflettere su se stessa e a riconoscere le proprie ‘sciocchezze’. Bergman sembra però interessato a comunicare allo spettatore che il suo non è un ripiegamento masturbatorio (come quella che Anna si concede) su se stesso perché la sua consapevolezza della realtà sociale non è venuta a mancare. Non è allora un caso se dal treno in corsa della sequenza iniziale il piccolo Johan (al quale nel film è affidato il compito della scoperta del mondo) vede passare una lunga fila di carri armati. La misteriosa città in cui lui, la mamma e la zia si trovano a soggiornare provvisoriamente non è un agglomerato urbano in pace. Gli sguardi che il bambino ed Ester le rivolgono dall’alto trovano come corrispettivo una situazione tesa. La percorrono carri carichi di masserizie e i giornali recano annunci incomprensibili per i protagonisti ma che preoccupano la popolazione. Ci sono soldati che ballano nel bar in cui cerca riposo Anna ma un senso di morte pervade gli spazi e si insinua nei gesti. Ester è in viaggio verso la fine ma è Johan a trovarsi dinanzi a un progressivo accumulo di segni in materia. Il suo ‘armarsi’ per poi uccidere simbolicamente i nani è solo il preludio alle foto di cadaveri in bare ancora aperte, offertegli dal cameriere e nascoste sotto un tappeto dopo averle guardate. Finché i carri armati entrano in città e si fermano davanti all’hotel, legando così anche visivamente la Morte che agisce nella collettività e quello individuale a cui Ester è comunque destinata ad andare incontro in totale solitudine.

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My name is Joe

In programmazione: 29/04/1999

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Glasgow. Joe è un ex alcolista che per vivere unisce qualche lavoretto al sussidio di disoccupazione. Allena anche una squadra di calcio di dilettanti di cui fa parte Liam, giovane ex tossicodipendente sposato con Sabine e padre di un figlio. Joe cerca di prendersene cura e facendo ciò conosce l’assistente sociale Sarah di cui si innamora. La loro relazione viene però messa in pericolo da quanto Joe mette in atto per venire in aiuto di Liam.
Peter Mullan offre un contributo non secondario a questo film di Ken Loach (riconosciutogli a Cannes con il premio quale migliore attore). È grazie alla sua interpretazione che prende corpo uno dei personaggi destinati a stagliarsi nella filmografia loachiana. Joe ha una personalità complessa: inadatto al compromesso ha un passato da cui vuole liberarsi ma che ne condiziona il presente. La sua vocazione paterna si esplicita nella conduzione della squadra di calcio così come nel desiderio di evitare a Liam e Sabine di sprofondare in dipendenze analoghe a quella che lo ha segnato. È, a suo modo, un assistente sociale senza titoli di studio ma quando incontra Sarah è costretto a ricercare in se stesso le motivazioni più profonde e a confrontarsi con il rapporto che intercorre tra mezzi e fine. La sua generosità innata, il suo bisogno di correre in soccorso di chi è fragile (avendo sperimentato la fragilità) lo mette in contrasto con l’etica di Sarah. La donna (di cui Loach ci offre un nudo che non ha nulla della siliconata ostentazione che invade tanto cinema ma che invece ci richiama saggiamente alla normalità) non manca di attenzione nei confronti dei propri assistiti ma non può accettare che si travalichino certi limiti anche se non farlo può significare il precipitare di una o più vite nella disperazione. È un contrasto che trova nella sequenza finale uno sbocco a cui spetta allo spettatore fornire un’ulteriore significazione.

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Viol@

In programmazione: 22/04/1999

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Navigando in Internet Marta, che attraversa un momento di crisi generale, incappa in un tale che si fa chiamare Mitter – lei ha assunto il nome Viola -. Nasce una relazione sessuale virtuale che le complica ulteriormente la vita. Sarà peggio quando conoscerà davvero il “navigatore”.

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Oscar e Lucinda

In programmazione: 15/04/1999

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Oscar Hopkins è un ministro del culto anglicano indirizzato sin da piccolo sulla via della religione ma attratto da una passione inarrestabile per le scommesse sulle corse dei cavalli. Lucinda Lepestrier è invece una ricca australiana che ama scandalizzare e quale modo migliore può trovare se non quello di giocare a carte con abilità da professionista. I due si incontrano su una nave (rotta Portsmouth-Sidney) e lì scatta l’attrazione tra due persone profondamente diverse e al contempo molto simili.
Gillian Armstrong, continua con questo film (dopo La mia brillante carrierae Ultimi giorni da noi) il suo percorso di regista capace di scandagliare in profondità, soprattutto sul versante femminile ma non solo, le relazioni umane cercando dei personaggi che le offrano l’opportunità di metterli in luce nel momento in cui stanno per vivere una svolta liberatoria anche se non sempre semplice da affrontare. Ha trovato nel romanzo di Peter Carey (edito nel 1988 e vincitore di premi letterari importanti) il terreno adatto. Poco importa sollevare l’ormai stanca diatriba sulle ‘differenze’ tra film e libro. Non è questo che interessa. Importa molto di più trovare un Fiennes in ascesa calato nel suo migliore ruolo dopo quello del nazista di Schindler’s List e una Cate Blanchett nelle fasi iniziali di una carriera che già qui si annuncia ricca di soddisfazioni. Per lei e per il pubblico.

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Arizona dream

In programmazione: 08/04/1999

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Film diretto da Kusturika nel ’93. Presentato ai giornalisti al Mifed di Milano. Approda da noi solo nell’estate del ’98. L’America secondo un cineasta jugoslavo, dunque, davvero “nel paese delle meraviglie”. Axel (Depp) dovrebbe, per volontà dello zio (Lewis), fare il venditore di Cadillac, ma preferisce convivere con Faye Dunaway in una fattoria e costruire una rudimentale macchina volante. A complicare i rapporti c’è la figlia della signora, votata al suicidio. Nel frattempo conosciamo una famiglia di esquimesi coi suoi cani, e un pesce che ha entrambi gli occhi dalla stessa parte. La ragazza alla fine riesce a morire, così come il vecchio zio. Ma il pesce si libera allegro nell’aria. L’America è proprio complicata. E lui, Kusturica, la esorcizza con le sue invenzioni, le sue parabole fantastiche e grottesche, a scapito del rigore stilistico occidentale, ma a favore della fantasia per la fantasia, che non è mai cattiva cosa.

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Celebrity

In programmazione: 01/04/1999

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“Help” è la scritta che compare nel cielo alleniano all’inizio del film. Occorre davvero aiuto per districarsi nel mondo delle star hollywoodiane, in cui le nevrosi si sprecano, in cui il sesso (quello orale in testa) dilaga ma l’amore scarseggia. Allen (sempre più “volgare” dicono alcuni, sempre più “realista” affermiamo noi) ci porta a spasso in questo nuovo girone infernale (ricordate Harry a pezzi?), assegnandoci come guida il suo nuovo alter ego Kenneth Branagh. Ma non si limita a ragionare delle persone celebri (e quindi anche di se stesso), gioca anche perfidamente con uno dei suoi attori: il romantico Di Caprio di Titanic entra in scena sfasciando una camera d’albergo e picchiando una donna. Anche questo è il Woody di fine millennio. Forse meno graffiante ma certamente più vicino, con quella ribadita richiesta di aiuto, a chi ne ammira il cinema.

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Polvere di Napoli

In programmazione: 25/03/1999

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Si parte dal bambino, figlio del portiere che giocava a carte con De Sica nell’ Oro di Napoli. Naturalmente adesso è un adulto, e continua a giocare a carte. Il resto è la solita corte dei miracoli napoletana, dove emergono i personaggi di Silvio Orlando, che sfida a duello il custode degli scavi di Pompei, e un musicista che diventa una sorta di re per una notte. C’è anche un concerto di extracomunitari in un campo di pomodori. Si sa che quasi sempre la napoletanità in cinema funziona, con una immediata reminiscenza “desichiana” poi è facile conquistare, anche se il riferimento al grande maestro si ferma lì.

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Gatto nero, gatto bianco

In programmazione: 18/03/1999

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Dopo aver esplorato l’America con Arizona Dream, Kusturica torna sui suoi antichi passi, il suo paese più o meno, ma senza preoccuparsi delle grandi vicende politiche e dei grandi dolori sociali. Gli interessano le piccole storie e le piccole poesie degli zingari. Due giovani si vogliono bene, ma le loro famiglie si oppongono. È solo il pretesto per tutto il resto delle fantasie del regista: la musica e i balli, i tic dei mattoidi, la cocaina in un crocefisso, uno muore e resuscita. Forse questo è il Kusturica più vero, libero dai grandi temi appunto. Anche qui è immancabile un premio: si tratta del Leone d’Argento di Venezia. Preceduto da Così ridevano di Amelio.

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Il destino

In programmazione: 11/03/1999

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Chahine è considerato uno dei maestri del cinema africano, forse il più “avanzato” dell’intera cultura araba. Ha dovuto superare i settanta per avere un suo film distribuito in Italia e fortuna che aveva vinto un premio speciale a Cannes nel 1996. La storia è importante: nell’Andalusia del XII secolo, in mano agli arabi, a Cordoba, si scontrano i poteri dello sceriffo, degli integralisti e dei vari signorotti. Personaggio decisivo è il filosofo Averroè, che vive sul filo del rasoio e potrebbe finire sul rogo. I suoi allievi copieranno i suoi scritti e li metteranno in salvo. Opera davvero particolare, profonda, universale. “Tutte le volte che taglio una gola so di avvicinarmi al paradiso” dice un fanatico. Chiara affermazione di Chahine contro la tremenda e incomprensibile tragedia dell’integralismo. Ma la sua attenzione è ancora più larga, umana corale e individuale. Alla fine la sua soluzione è squisitamente islamica: sta appunto nel destino.

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Racconto d’autunno

In programmazione: 04/03/1999

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Dopo aver raccontato l’adolescenza in Un ragazzo e tre ragazze e la giovinezza in Racconto d’inverno, Romher affronta l’età matura, dove (quasi) tutto rimane lo stesso – sentimenti, amore, cattiveria – salvo l’esperienza, che dovrebbe soccorrere. I rapporti si intrecciano fra due donne, figli e mariti e l’esterno. L’amore può sempre incombere, a tutte le età. Solito stile leggero e sapiente di Romher.

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Amore e morte a Long Island

In programmazione: 25/02/1999

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Dal romanzo di Gilbert Adair. Uno scrittore inglese di una certa età incontra un giovane attore americano. Il primo è colto, evanescente, l’altro confonde Rimbaud con Rambo. Eppure “legano”. Il rapporto è simile a quello descritto da Mann e Visconti nella Morte a Venezia, naturalmente con minor stile, anche in virtù delle epoche diverse. Del film rimangono qualche lirica sensazione di Long Island e tante parole.

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Del perduto amore

In programmazione: 18/02/1999

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1958. Liliana è una giovane comunista che si dedica totalmente all’emancipazione delle donne in un paesino lucano. Il suo impegno entra in collisione non solo con la mentalità dei conservatori ma anche con quella dei suoi stessi compagni di partito. Apre anche una scuola popolare che è esempio quotidiano del suo bisogno di ‘fare’ senza calcoli utilitaristici e proprio alla scuola della ‘comunista’ verrà educato colui che diverrà nel futuro un sacerdote e ricorderà l’intera vicenda. Placido asseconda la sua vena impegnata e sanguigna evitando cadute nel bozzettismo anche se qualche momento oleografico non manca. Sa però dirigere (e lo aveva già dimostrato in Un eroe borghese) e realizza un film ‘utile’ per la memoria un po’ troppo spesso labile dei suoi connazionali.

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Il ladro

In programmazione: 11/02/1999

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Per una serie di incredibili coincidenze, Manny Ballister viene scambiato per un ladro che ossessiona un’intera città con i suoi furti. L’uomo deve provare la sua innocenza, ma le persone che potrebbero aiutarlo sembrano scomparse dalla circolazione. La moglie di Manny è quella che risente in modo più drammatico della situazione: si ammala di nervi ed è ricoverata in una clinica psichiatrica. L’arresto dell’autentico colpevole pone fine all’incubo.

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Elizabeth

In programmazione: 04/02/1999

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Storia di Elisabetta I, figlia di Enrico VIII e di Anna Bolena, che divenne la prima regina d’Inghilterra nel 1558 e regnò fino al 1603. All’inizio Elisabetta dovette affrontare e superare intrighi continui, riuscendo tuttavia a districarsi fino a prendere il potere con sicurezza, gestendo con grande acume i rapporti con tutti, dal Parlamento alla Chiesa. Il film si interessa soprattutto al privato, ai primi amori di Elisabetta, ai tentativi da parte dei suoi tutori di trovarle un marito, sempre sgradevole e sgradito. Grande cura nella ricostruzione, ed esagerato amore per l’esercizio cinematografico. Nell’insieme un’opera comunque efficace. Kapur è un indiano che aveva già fatto parlare di sé al festival di Cannes del 1995 con l’opera Bandit Queen.

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Wilde

In programmazione: 28/01/1999

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Alcuni cowboy stanno arrivando in una zona desertica ed ecco che a cavallo arriva un uomo che sembra venuto da un altro pianeta, vestito con abiti molto ricercati. È Oscar Wilde che è andato a trovare i minatori. Partendo da questo originale episodio della vita di Wilde e continuando con il matrimonio, il regista descrive il periodo eterosessuale dell’autore di Salomé. Dopodiché assistiamo al cambiamento dell’uomo e alla relazione col giovane Lord Alfred.

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La parola amore esiste

In programmazione: 21/01/1999

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Lei è ricca, supernevrotica, assolutamente diffidente. Lui è un professore di violoncello divorziato, timido, silenzioso. Si incontrano, qualcosa si muove, ma rimane nei pensieri e nelle intenzioni inespresse. Dopo alcuni equivoci dilatati dalle particolari personalità dei due personaggi, alla fine si ritrovano casualmente (è notte, lei ha bisogno di un passaggio) e forse finalmente qualche porta rimarrà aperta. Cammeo fulminante di Depardieu nel ruolo di un avvocato: il film ci guadagna naturalmente. Tutto è al proprio posto, sussurrato, pulito, discreto, puntuale. Dopo La seconda volta dagli accenti morettiani, Calopresti si conferna non-meteora e un autore con una sua comunicazione “internazionale”. Le sue storie (questa soprattutto) non sono disperatamente autoctone come quasi tutte quelle del cinema italiano. Riconferma di Bentivoglio mai abbastanza apprezzato, e magnifica sorpresa per la straordinaria Bruni Tedeschi, anche lei fuori dai contesti nostrani. Grande attrice davvero.

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Patsy Cline

In programmazione: 14/01/1999

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Patsy è una cantante Country che gira le città. Ma nel film tutti cantano, i contadini, i poliziotti, tutti attratti dal mito di Nashville. Musica che si sposa ai vasti paesaggi australiani, e al sogno generale di chi canta per sognare, e immaginare cose buone che normalnente la vita non offre.

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Arancia meccanica

In programmazione: 07/01/1999

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Alex è un giovane senza arte né parte, figlio di proletari e dedito a furti, stupri e omicidi. Fa capo a una banda di spostati, denominati drughi. Dopo aver usato violenza alla moglie di uno scrittore finisce in carcere. Viene sottoposto ad angherie ma si fa amico un prete. Pur di essere scarcerato accetta il “trattamento lodovico”, che consiste nell’assistere a filmati di violenza. Quando esce scopre che i genitori hanno subaffittato la sua stanza. Senza poter reagire, dovrà subire violenza da alcuni mendicanti vendicativi, dai drughi diventati poliziotti e dallo scrittore che ha perso la moglie e che ora si trova su una sedia a rotelle. Tenta il suicidio e all’ospedale riceve una visita di cortesia da parte del primo ministro. Ambientato nel futuro, ormai alle porte, e tratto da Arancia ad orologeria di Anthony Burgess. Geniale traversata di generi (fantascienza, storico, drammatico, comico, grottesco, orrore), un film che mostra la violenza per esserne un contro-manifesto. Accolto da polemiche e ovazioni al suo apparire, è stato sequestrato per molti anni in Francia, mentre in Gran Bretagna non può essere ancora proposto né al cinema né in videocassetta. L’ambiguità del personaggio era necessaria per mostrare le diverse violenze della medicina, della polizia, della politica e della gente comune. Quando Alex viene guarito, non può gestire le proprie scelte. Diventa docile non per volontà ma per allergia (sente nausea quando cerca di usare violenza, anche se cerca di difendersi). La più grande prova al cinema di Malcolm McDowell che ha ideato alcune scene storiche, tra cui quella dello stupro a tempo di I’m singing in the rain. Le musiche di Beethoven e Rossini rielaborate da Walter Carlos e le immagini grandangolo di John Alcott accrescono l’immersione nell’incubo. Doppiaggio italiano all’altezza dell’originale.

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Teatro di guerra

In programmazione: 17/12/1998

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“Sudespressionismo”. Martone, Corsicato e altri percorrono questa strada. Napoli si presta. Martone è il più bravo. Davvero un talento capace non solo di espressione e inventiva, ma di misure e contenuti. Ferma restando la napoletanità dalla quale nessun regista autoctono riesce ad emanciparsi (e si capisce), Martone è capace di slanci universali e di metafore concrete. In tanta mediocrità del cinema italiano, dilaniato dal “permissivismo” dei finanziamenti ministeriali, ecco un’opera vera e magnificamente raccontata. Un gruppo di attori, a Napoli, mette in scena I sette contro Tebe di Eschilo. Una storia fratricida che ben si applica alla guerra in Jugoslavia. I fatti della vita si intrecciano in quello che è davvero un “teatro di guerra”. E anche Napoli è teatro di guerra, con la sua gente, la violenza, le difese tremende messe in campo. Una pattuglia della polizia non capisce che in strada si sta provando una scena violenta e vorrebbe arrestare tutti gli attori. La compagnia prova, ma quando è quasi pronta per rappresentare la tragedia a Sarajevo manca lo spunto definitivo, forse il coraggio. Rimangono le prove come opera incompiuta, anche se frequentandosi tutti hanno imparato qualcosa.

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Amistad

In programmazione: 10/12/1998

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Nel 1839 un gruppo di neri si ribella e uccide l’equipaggio della nave Amistad che li stava trasportando da Cuba agli Stati Uniti per venderli come schiavi. Vengono catturati, e messi in prigione. Il processo che ne segue diventerà uno dei più importanti della storia d’America. Il nero Cinquè, capo degli africani, forte e intelligente, dignitoso, diventa un simbolo. Il cuore della questione è il fatto che i neri non sono schiavi, ma uomini liberi portati via dal loro paese, la Sierra Leone. Questa verità emerge. Ma c’è di mezzo la questione nord-sud. Il processo d’appello davanti alla corte suprema diventa politicamente decisivo, in sostanza, se gli africani saranno assolti il sud finirà per ribellarsi. L’arringa decisiva è dell’ex presidente e giurista leggendario John Quincy Adams (Hopkins): strepitosa (gli africani vanno liberati anche a fronte di una guerra civile), significativa del senso altissimo della libertà espresso dalla dichiarazione d’indipendenza. In questo senso il film crea un precedente di racconto, caricando la tensione e il finale liberatorio doppiamente, con due processi. Il film naturalmente funziona nel bene e nel male di Spielberg, efficace come sempre, furbo e perennemente nel segno delle scene madri. C’è stata polemica per l'”ispirazione”: Barbara Chase-Riboud, autore del libro La rivolta della Amistad ha accusato il regista di averla spudoratamente plagiata. Ma non ha chiesto danni. Forse è stata tacitata dalla promozione naturale che le ha portato il film, o forse da un congruo risarcimento.

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Conversazioni private

In programmazione: 03/12/1998

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Nel 1925 una madre di famiglia svedese ha una relazione con un giovane e racconta la sua storia allo zio prete. Si sente colpevole ma fino a un certo punto. Il gruppo Bergman in azione. La produttrice è la protagonista, moglie di Bille August, regista-amico-protetto-biografo del grande Ingmar. La regista è la grande Liv, che ha fatto tanti film col maestro e a di cui è stata moglie. Non è finita: la storia è stata scritta dal mostro sacro. Dunque, la Ullman aveva davvero poche possibilità di sottrarsi alla grande influenza. Infatti sembra di essere nel film di un Bergman svogliato. C’è proprio tutto: l’essenza, i dialoghi stilizzati, le inquadrature. Fa tenerezza sentire il prete Von Sydow che dice: “tutti credono che Lutero abbia abolito la confessione, non è vero, l’ha solo sostituita con le conversazioni private”. Ecco dunque emergere anche la chiave della paura mistica del vecchio regista – a sua volta figlio di religioso – tema immancabile di quasi tutti suoi film. Forse è un promemoria utile ai giovani: come studiare Bergman sul Bignami.

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Parole, parole, parole

In programmazione: 26/11/1998

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Camille, una guida turistica che sta per laurearsi, si innamora di Marc, un agente immobiliare senza scrupoli incontrato nel corso di una visita ad un appartamento dalla vista mozzafiato. Simon, un timido impiegato che lavora per Marc è segretamente innamorato della ragazza di cui non perde una visita guidata. Nel frattempo fa ritorno a Parigi Nicolas, l’ex fidanzato di Odile, sorella di Camille, alla ricerca di una casa…
Esponente della Nouvelle Vague, Alain Resnais si è sempre distinto per un cinema connotato da una forte sperimentazione formale, per poi successivamente concentrarsi sulla messa in scena di complessi meccanismi narrativi in cui si intrecciano generi e talvolta anche tempi diversi, avvalendosi di un gruppo di attori che ritornano di film in film, come Sabine Azéma, Pierre Arditi, André Dussolier.
Levità e gravità si combinano egregiamente in Parole parole parole, una commedia musicale dove in un crocevia di situazioni si intrecciano i percorsi di personaggi finemente ritratti dall’abile duo di sceneggiatori, Agnès Jaoui e Jean-Pierre Bacri, che nella pellicola recitano nei panni rispettivamente di Camille e di Nicolas. Una scrittura originale e raffinata dal ritmo impeccabile dove in alcuni momenti i personaggi cantano in playback e i dialoghi sono sostituiti da celebri canzoni che ne rivelano in un certo modo i dubbi, le emozioni, i pensieri. Un metodo già sperimentato nella pellicola, La vita è un romanzo, ma che in quest’ultima opera viene sviluppato ulteriormente, un chiaro omaggio al regista televisivo britannico Dennis Potter e al suo cinema tragico e al contempo derisorio, graffiante.
On connaît la chanson, titolo che in italiano rimanda alla celebre canzone composta da Chiosso, Del Re e Ferrio nella versione interpretata da Dalida e da Alain Delon, è un film che riflette sull’essere e apparire, sull’amore e più in generale sull’essere umano e le sue debolezze. Un piccolo capolavoro, firmato da un maestro d’oltralpe.

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Kundun

In programmazione: 19/11/1998

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Tenzin Gyatso, scoperto quattordicesimo Dalai Lama (Kundun appunto, in lingua tibetana) cresce e cerca di regnare come può. Quando arrivano i Cinesi nel ’49, dopo aver incontrato Mao Tse Tung (che annuncia a lui, divinità in terra, che la religione è veleno), lascia la sua terra e va esule nel mondo (e continua a farlo fino ai nostri giorni). Assistiamo alla vocazione del bambino, alle manifestazioni spirituali, magiche, miracolose del ragazzo, e alla sua tristezza umana e generale: “sono solo un ragazzo, che posso fare?”. Purtroppo il film prosegue faticosamente, è rigoroso ma greve in molti tratti: e non avremmo mai pensato di usare quell’aggettivo riferito a Scorsese, considerato in questa sede il massimo autore contemporaneo insieme a Wenders. All’uscita di Sette anni in Tibet si era detto: discreto e troppo hollywoodiano, aspettiamo il Tibet vero di Scorsese. Ebbene si prova nostalgia per il film di Annaud. La dichiarata qualità documentaristica del film non lo salva. Speriamo si tratti di un vuoto momentaneo, e che Scorsese torni efficace e geniale come ci ha abituati. Può essere significativa la considerazione che questa stagione di film abbia visto l’involuzione (o vogliamo chiamarla crisi) di molti grandi autori: dallo stesso Wenders ( Crimini invisibili), a Tarantino ( Jackie Brown), a Stone ( U turn), anche a Spielberg ( Amistad) e Ferrara ( Blackout), a Moretti ( Aprile). Vien da chiedersene la ragione. Un’ipotesi potrebbe essere: colpa del mercato, del grande pubblico, che vuole Titanic, fantascienza e supereffetti. E gli autori ne sono (consciamente o meno) condizionati, cercano di adeguarsi non trovando alcune misure, o ribaltandole e comunque finendo per perdere le proprie.

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