Cabaret

Descrizione

Siamo nella Berlino degli anni Trenta, con le prime violenze naziste che insanguinano le strade, la propaganda che fa “cantare” le folle (il ragazzino che intona un motivo patriottico) e l’alta borghesia tedesca (Max) pronta a minimizzare per convenienza e malafede. Al di qua del vetro deformante del ricordo – che apre e chiude matericamente il racconto (e lo spettacolo) come un sipario – si incrociano le vite di Sally Bowles (Liza Minnelli), cantante americana che sogna Hollywood dal palco promiscuo di un night, Brian (Michael York), giovane insegnante inglese che si innamora di lei, Max (Helmut Griem), ambiguo e ricco amico della coppia, e Fritz (il futuro assistente dell’ispettore Derrick, Fritz Wepper), cacciatore di dote costretto a fare i conti con le sue origini ebraiche.


Ballando Ballando

In programmazione: 11/09/2008

Descrizione

1983.
Donne ed uomini entrano separatamente in una sala da ballo della periferia parigina.
Hanno inizio le danze precedute dalla ricerca dei partner.
Con un flashback si passa al 1936 e nello stesso locale si succederanno persone e situazioni scandite dagli anni (1940/1945/1956/1968) per poi tornare al presente.
Scola gira un film che per voglia di sperimentare potrebbe essere paragonato al suo Trevico-Torino … Viaggio nel Fiat-Nam di dieci anni antecedente.
Non perché i temi siano gli stessi, ovviamente, ma perché identica è la spinta di ricerca verso un
modo di fare cinema che sia innovativo ma non sterile. La fonte di ispirazione è uno spettacolo del 1980 del Théâtre du Campagnol.
Il passaggio dal palcoscenico allo schermo non era privo di rischi perché tutta la capacità di coinvolgimento è data dalla musica e dalle performance fisico-mimiche degli attori e se a teatro sussiste una forma di interazione tra pubblico e interpreti questa al cinema si perde.
Scola riesce però a fare delle canzoni e dei brani musicali (in gran parte francesi per collocazione delle vicende e per esigenze di coproduzione) l’elemento di contatto con il pubblico più vasto a cui propone non solo in viaggio nel tempo ma una riflessione sul rapporto tra la vita di ognuno e i grandi sommovimenti storico-sociali.
Dalla Francia colta il giorno della vittoria del Fronte Popolare si passa alla Seconda Guerra Mondiale per poi giungere alla liberazione a cui faranno seguito la guerra in Indocina, il conflitto in Algeria e i tempi del Maggio.
Il tutto attraverso il ballo e l’unità di luogo di una sala che si trasforma per accogliere apparentemente nuove, ma in gran parte ritornanti, esigenze e passioni.
Scola non manca di inserire omaggi al cinema (da Gabin alle riviste come “Cinévie”) ma è all’inizio e alla fine del film in cui dichiara ciò che più gli sta a cuore: la profonda tristezza per la solitudine esistenziale che attanaglia la vita dei suoi contemporanei.
Quei volti e quei gesti che il cinema può cogliere in dettaglio testimoniano di una sorta di coazione a ripetere di sguardi, avvicinamenti, corteggiamenti privi di qualsiasi vitalità in cui ognuno è ripiegato su se stesso e cerca di sopravvivere al proprio vuoto interiore. Alcuni dei bravissimi attori si trasformano così in personaggi che ricordano (pur conservando una loro originalità) quelli dell’amico Federico (Fellini).


Luci della ribalta

In programmazione: 18/04/2013

Descrizione

Con Luci della ribalta Chaplin intese narrare una storia individuale, la storia di un declino e di una morte, e forse prefigurava se stesso, o voleva esorcizzare.
Aveva sessantatré anni, pensava alla poesia e al sentimento e aveva finalmente accettato la parola nei film.
Aveva capito che la parola non sarebbe servita, come nel Grande dittatore, a enunciare i grandi temi: il cinema non aveva necessariamente quel dovere e Chaplin non aveva quella capacità. Charlot aveva espresso i massimi valori e sentimenti col gesto e le azioni.
Una bella storia individuale, capace di far ridere e sorridere, e anche commuovere, poteva essere altrettanto importante dei grandi messaggi sociali che aveva cercato di lanciare con immensa efficacia (Tempi moderni) o allarmante originalità (Monsieur Verdoux).
È la vicenda di Calvero, vecchio artista del varietà nella Londra degli anni Dieci. Non ha più successo ed è malato. Salva la vita a una ballerina disperata, la cura e le dà fiducia.
Ne fa un’artista e la porta alla sua “prima” trionfale. Nel frattempo chiede soltanto di fare un ultimo spettacolo e, se proprio non sarà successo, che non sia almeno un insuccesso.
Aiutato dal suo partner (Buster Keaton) ottiene un vero trionfo. Nell’ultima gag cade dentro un tamburo e vi muore.
Ma prima assiste al trionfo della sua protetta. Parabola straordinaria sull’altruismo, la fiducia e il coraggio. Il film commosse il mondo e Chaplin, ancora una volta, ebbe ragione.
Aveva voltato pagina e si era di nuovo imposto, aiutato dalla freschezza del ricordo e dell’esperienza diretta, se è vero che Calvero era un po’ Charles, ma soprattutto era suo padre che aveva fatto la fame dando piccoli spettacoli sui marciapiedi di Londra.
Il dialogo è pieno di considerazioni che sembrerebbero minime e banali, ma sono strumentali e rinviano a certi concetti naturali che in quegli anni sembravano sopraffatti dalle tante guerre fredde e cacce alle streghe. E fu proprio quella la stagione che rese più inviso il grande inglese agli americani, anzi, al loro governo. Molte le scene da ricordare: le lezioni di vita a Claire Bloom, l’incontro successivo in cui lui le chiede l’elemosina, infine il numero finale con Chaplin al violino e Keaton al piano.
E non si può non citare la colonna sonora composta dallo stesso Chaplin, uno dei più bei temi di tutta la musica da film.


Film blu – Libertà

In programmazione: 17/03/1994

Descrizione

Prima pellicola della celebre trilogia dedicata dal regista polacco Krzysztof Kieslowski ai tre colori della bandiera francese e, di conseguenza, al motto della rivoluzione francese, “Liberté, Égalité, Fraternité”.
Il film, che gli valse il Leone d’Oro, ci costringe a un confronto impietoso col paradosso della necessità della protagonista di una sorta di “libertà emotiva” che la spinge a un’elaborazione del lutto singolare: Julie, transita attraverso un dolore asciutto ed estremo, quasi schizofrenico, convincendosi che per ricominciare sia necessario annullare le memorie passate e che l’unico mezzo per redimersi dal dolore sia abdicare all’oggetto della sofferenza.
Dapprima frastornata dalle immagini del corteo funebre del marito e della sua bambina che scorrono sulla tv dell’ospedale e dopo un tentativo di suicidio approssimativo divorando un flacone di pillole qualunque, ogni suo atto è votato a eliminare il suo trascorso di madre e moglie (anziché preservare gelosamente le vestigia della sua pargola defunta, divora nevroticamente la caramella della sua bambina ritrovata in borsa, non già per assaporarne il ricordo ma quasi come a cancellarne il ricordo terrestre).
Così come la risata dissacrante all’ascolto della testimonianza del ragazzo che aveva involontariamente assistito all’agonia del marito (“Stava raccontando una barzelletta”): tutto in lei sembra volto alla contaminazione e alla vaporizzazione della sua esistenza pre-incidente (si spingerà fino a distruggere l’opera ultima di suo marito, compositore di fama).
Lo stato vegetativo emotivo, volontario asilo politico dalla passione, al riparo dalla vita e dallo stesso dolore precipita rovinosamente quando la nostra eroina viene posta di fronte lo specchio irreversibile delle scelte: l’amore di Olivier, amico e collaboratore del marito, la scoperta
dell’embrione nel ventre dell’amante di suo marito.
Il ritorno alla vita (già suggerito dalle continue immersioni in piscina di Julie, in cui la donna, pare tornare nel rassicurante oblio del liquido amniotico, liberandosi da qualsiasi pressione esercitata dalla forza di gravità terrestre e scivolando nell’apnea emotiva di un non-luogo interiore) viene celebrato nel delicato slancio emotivo della memorabile pagina cinematografica in cui Julie scoprendo l’esistenza di un nido di topolini nello sgabuzzino e, intenerita come fosse in una nursery, li risparmia, compiendo la sua prima scelta dall’inizio della pellicola: la vita.


Addio mia concubina

In programmazione: 17/02/1994

Descrizione

Il titolo è preso da un’opera cinese dei primi delNovecento, scritta da Mei Lanfang.
Il regista cinese Chen Kaige vive a New York, trapiantato da vero intellettuale.
E il film, un affresco politico nascosto sotto la patina del melodramma, media la cultura cinese con lo stile registico occidentale.
Non è certo una pecca, specialmente se il risultato, come in questo caso, è lusinghiero.
Due bambini diventano amici mentre apprendono la durissima arte dell’attore.
Infatti in Cina per calcare il palcoscenico si deve sottostare a regole durissime. Una volta scelti come attori per una famosa opera con protagonisti un re e la sua concubina le loro vite cambiano. L’attore che interpreta il personaggio femminile si immedesima a tal punto da diventare geloso e pericoloso quando l’amico si innamora di una prostituta.
Tra intrecci politici e sentimentali si giunge alla tragedia. Bravi tutti gli interpreti principali, soprattutto Leslie Cheung e Gong Li, e una lode al direttore della fotografia, Gu Changwei.


Lezioni di piano

In programmazione: 10/02/1994

Descrizione

Palma d’Oro, ex aequo, al Festival di Cannes.
L’originale regista di Sweetie e Un angelo alla mia tavola debutta nel grande cinema ufficiale. Ciò comporta co-produzioni, grandi nomi, capitali cospicui e una storia di buona presa per il pubblico. Ma la Campion mantiene intatta la sua personalità di autrice.
Purtroppo la bravura tecnica questa volta sfiora il manierismo. Ancora una volta la protagonista è
una donna con problemi di comunicazione con gli altri.
È muta, vedova con una figlia, e per convenienza familiare deve sposare uno sconosciuto. Si trasferisce con lui in un’isola sperduta in Nuova Zelanda.
Non le è concesso di suonare il piano, sua unica consolazione.
Ma con l’aiuto di un uomo all’apparenza rozzo, in realtà molto sensibile, il suo desiderio sarà esaudito.
Tra loro nasce un particolare idillio che farà uscire di senno il marito. Dopo colpi di scena degni di un melodramma, il lieto fine è d’obbligo.


Trentadue piccoli film su Glenn Gould

In programmazione: 18/05/1995

Descrizione

Molto originale e particolare questa strana biografia sul pianista americano, molto famoso fra gli appassionati di musica classica.
Sono trentadue cortometraggi che come flash fotografici ci restituiscono tanti piccoli pezzi di
un puzzle.
Ci sono le fasi della vita e della carriera di Gould ricostruite dal regista con aggiunta di interviste a persone che lo hanno conosciuto.
Non si tratta però di documentario, ha piuttosto una vaga parentela con lo stile di Jarman in Wittgenstein.


The commitments

In programmazione: 19/11/1992

Descrizione

Questo di Alan Parker può essere considerato il più naìf dei suoi film. Di opere musicali ne ha già fatte tre ( Piccoli gangster, Saranno famosi e il più riuscito e inquietante The Wall) ma l’approccio di The Commitments è diverso. Si comincia con uno squarcio dei sobborghi di Dublino dove il gruppo in questione comincia a formarsi e poi ecco sfilare i problemi, le tensioni, le attrazioni sessuali. Il gruppo è formato da tre coriste, i musicisti e il cantante. Riescono a fare il loro primo concerto importante al quale assistono giornalisti di testate musicali importanti. Alla serata aspettano invano l’arrivo di Wilson Pickett e dopo aver litigato si sciolgono. È la classica parabola del successo e del protagonismo ma visto, e qui c’è la novità, attraverso una band che muove i primi passi.

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Dancer in the dark

In programmazione: 11/01/2001

Descrizione

Immigrata negli Stati Uniti dalla Cecoslovacchia, Selma lavora alacremente, senza badare alla stanchezza, per racimolare il denaro sufficiente a far operare agli occhi Gene, il figlio adolescente, affetto dalla sua stessa malattia. I due abitano in una casa mobile sistemata nei pressi di quella di Bill, loro locatore, un poliziotto in bancarotta che, dopo aver rubato i risparmi destinati all’operazione, sarà ucciso dalla donna. A questa ragazza madre, sull’orlo della cecità, allora, non rimarrà che rifugiarsi nel suo mondo di suoni e balli in attesa di essere giustiziata.
Un ouverture di tre minuti e mezzo, soltanto la colonna sonora su schermo nero, così come si usava per i grandi musical hollywoodiani. Titolo. Poi Selma che prova la parte principale di “Tutti insieme appassionatamente” sul palcoscenico di un teatrino, accanto a lei l’amica Kathy, una Catherine Deneuve che non può non rimandare a Les Parapluies de Cherbourg di Jacques Demy.
Al suo settimo lungometraggio, Lars von Trier affronta un lavoro ricercatamente teorico sul musical, inteso come genere d’evasione per eccellenza, per parlare invero della capacità del cinema di portare la mente dello spettatore lontano dagli affanni. Sussultante macchina a mano che trova stabilità solo nei numeri musicali, il regista danese rivendica il diritto di ognuno a “sospendere l’incredulità”, di gelare il grigiore della realtà con la fantasia e l’invenzione: del resto, qui, tutto è ricostruito, compresa quell’America anni Sessanta che avrà un ulteriore passaggio di stilizzazione nel successivo Dogville, tutto è anti-realistico, si pensi alla fotografia desaturatissima dell’ottimo Robby Müller. Non ci sono dubbi che un tale esercizio esiga un pubblico capace di “ascoltare il proprio cuore”, come fa Selma, di immergersi, senza distacco critico, in una serie di trappole melodrammatiche approntate con la solita sfrontatezza da un cineasta abituato agli eccessi.
Riflessione sul potere del cinema (o dell’arte in generale), quest’opera ricca di vitalità intellettuale non si dimentica di essere anche un musical in sé, forse un omaggio, sicuramente un’antologia dei differenti periodi del genere: a partire dal titolo, lo stesso di un numero di Spettacolo di varietà di Vincent Minnelli, si va da Busby Berkeley (Selma e Kathy vedono Quarantaduesima strada al cinema) a Gli uomini preferiscono le bionde (la sequenza del tribunale), dagli spazi aperti di I’ve seen It all che richiama Sette sposi per sette fratelli alla modernità di un Bob Fosse (il numero in fabbrica) fino alla citazione vivente di Joel Grey, il maestro di cerimonie di Cabaret, che interpreta il ballerino cecoslovacco Oldrich Novy.
Fondamentale l’apporto della musicista islandese Björk, anche autrice della colonna sonora, insignita di un meritatissimo premio per la migliore interpretazione femminile in quel 53° Festival di Cannes in cui Dancer in the Dark ricevette la Palma d’oro dalla giuria presieduta da Luc Besson. Dopo Le onde del destino e Idioti, conclude la cosiddetta “trilogia del cuore d’oro”, incentrata su storie di donne destinate al sacrificio.

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L’orchestra di Piazza Vittorio

In programmazione: 01/02/2007

Descrizione

Roma, Piazza Vittorio. Il quartiere più popolato da migranti di tutto il mondo: un insieme eterogeneo di colori, di stili di vita, di tradizioni culturali e di religioni che si intrecciano, in una convivenza che giorno dopo giorno cresce e si fa profondamente multietnica.
Un gruppo di artisti e intellettuali italiani, su tutti Mario Tronco, tastierista degli Avion Travel, decide si salvare il vecchio cinema teatro Apollo, che, dopo essere stato declassato a cinema porno, sta per essere trasformato in sala bingo, e di costituire un’orchestra stabile composta appunto, anche e soprattutto, da musicisti extracomunitari. Il progetto-sogno inizia nel 2001 e nel giro di diversi anni, con tantissime difficoltà e con tenacia ancora maggiore, vede la luce.
Agostino Ferrente, documentarista aiuto regista di Silvano Agosti, è parte attiva del progetto e, telecamera a spalla, filma tutti gli eventi che porteranno alla creazione dell’ensemble musicale. Il risultato è il film L’Orchestra di Piazza Vittorio, documusical sotto forma di diario che racconta la sofferta, entusiastica e travagliata genesi dell’omonima orchestra. Agostino e Mario iniziano a girare in vespa per Roma alla non facile ricerca di musicisti e si imbattono in persone e volti ognuno con la sua storia da raccontare, con il suo bagaglio di dolori e di aspettative, di sorrisi e di voglia di sentirsi parte di una comunità.
Storie e volti da Cuba, dall’India, dall’Ecuador, dalla Tunisia. Un film che racconta un piccolo pezzo di storia d’Italia: solidarietà e voglia di cambiamento, partecipazione civile e culturale. Un documento dalla musica trascinante e dal forte senso del ritmo, un documento da cui trasuda l’anima e il cuore di chi ha partecipato al progetto, credendoci incondizionatamente.

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Carosello napoletano

In programmazione: 24/03/2011

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Salvatore Esposito (Paolo Stoppa), un cantastorie sfrattato, se ne va in giro per Napoli con la sua numerosa famiglia tirando un carretto che contiene tutte le sue cose. Questo è il filo conduttore che lega gli episodi del film, una sorta di rievocazione in chiave musicale della tormentata storia della città attraverso i secoli, dalle dominazioni francesi e spagnole, a quelle inglesi e americane.
Versione cinematografica dell’opera teatrale Carosello napoletano, presentata per la prima volta, a Firenze il 14 aprile 1950 al Teatro La Pergola, successivamente al Teatro Quirino di Roma, e portata anche all’estero con notevole successo.

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