Dead Man

In programmazione: 23/01/1997

Descrizione

William Blake è un giovane che va a cercare lavoro nel West.
Uccide accidentalmente un uomo e inizia un percorso che lo porterà alla morte in compagnia di un americano che ha studiato in Inghilterra e pensa di trovarsi al fianco del poeta omonimo. Jim Jarmusch ci racconta un West rabbuiato e cupo con forti allucinazioni visive in un film molto lontano dalle sue opere precedenti, ma fortemente personale.


Il segreto del bosco vecchio

In programmazione: 26/05/1994

Descrizione

Presentato alla mostra di Venezia questo film di Olmi non ha ottenuto il riscontro di critica che ci si aspettava.
Forse ci sono stonature qua e là, come ad esempio le voci degli animali e del vento doppiate con enfasi troppo teatrale e recitata.
Alcune cadute di ritmo. Ciononostante si tratta di un’opera suggestiva.
Pare che Olmi abbia filmato le stagioni in tempo reale e che quindi le riprese siano state lunghe e laboriose.
Il colonnello Procolo è diventato responsabile di una foresta vecchia di secoli.
Tutore del nipotino, che non potrà ereditare fino alla maggior età, il vecchio vuole vendere legname abbattendo gli alberi.
Uno di essi, travestito da guardia forestale, cerca di impedirglielo. Procolo, vedendo poi il bambino come una minaccia al suo potere, cerca in più riprese di
metterlo in pericolo.
Quando poi, schiavizzato il vento, sarà a un passo dal riuscirci, andrà alla sua ricerca morendo lui stesso in una tormenta.


Orlando

In programmazione: 28/04/1994

Descrizione

Vediamo Orlando nel 1600, giovane bellissimo e glabro che suscita l’interesse della regina d’Inghilterra, che gli lascia in eredità un titolo. Poco dopo Orlando si innamora di una bella, giovane e nobile russa, ma non è ricambiato. Diventa ambasciatore in Oriente. Passano i decenni e i secoli, e una mattina, dopo grande sofferenza e spossatezza, si sveglia donna. Si innamora di un bellissimo giovane romantico che le fa scoprire il sesso (quello maschile). Continua a passare il tempo ed eccoci ai giorni nostri. Orlando è stata privata dei suoi beni e delle sue eredità regali (perché non è identificabile come essere umano, non è uomo, non è donna, non è sposato o sposata). Ha un bambino e deve affrontare la vita da sola. Nell’ultima scena Orlando, che riposa sotto le fronde di un albero, chiama il figlio e gli dice di guardare il cielo. E dall’alto scende una sorta di angelo, naturalmente senza sesso, che canta la morale finale del film: non c’è differenza fra le cose, fra la vita e la morte, fra il tempo e il non tempo, fra i sessi. Un film importante, che prende spunto da un romanzo di Virginia Woolf. Le problematiche della scrittrice non sottointendono verità e messaggi universali, sono manifestazioni dolorose di impotenza, di ambiguità generali dal sesso al pensiero, e di sensazioni di inutilità di tutto, perchè nulla ha un’origine autentica e un autentico destino. Sostanzialmente non è cosa che riguardi molti. Ma Sally Potter costruisce intorno al dolore creativo e letterario un film ricco e colto, con una ricercatezza addirittura morbosa in alcune situazioni e con soluzioni impreviste e improvvise, che spesso danno la sensazione di qualcosa di nuovo nel cinema, dove tutto sembra esser già stato esplorato. La scena della festa sul ghiaccio, delle grandi stanze del castello abbandonate, del rapporto di Orlando coi fiori, i boschi e i fiumi, sono pressoché “inedite”. Il testo della Woolf è “ottimizzato” e il cinema porta il suo contributo nelle “sue” zone. La letteratura per l’introspezione e la fatica attiva della comunicazione, il cinema per l’occhio, lo stupore e il trasalimento.


Mister Hula Hoop

In programmazione: 13/04/1995

Descrizione

Ascesa al potere economico di un piccolo impiegato che ha un’idea geniale e inventa l’hula-hoop.
La storia è solo un pretesto per i Coen. Ciò che a loro interessa è mettere inscena un grande cerchio narrativo della durata di 111 minuti sulla cui circonferenza possano comodamente trovare spazio citazioni e ammiccamenti cinefili.
Ovviamente non mancano equilibristiche riprese che si accompagnano a una scenografia in cui lo spazio si fa tempo.


Cosi lontano, così vicino

In programmazione: 23/03/1995

Descrizione

A Berlino ci sono due angeli, Cassel e Raffaela (Sander e Kinski), pieni di buone intenzioni nei confronti degli umani. Vorrebbero aiutarli, alleviare le loro sofferenze. Gli altri personaggi sono: un pizzaiolo che canta Funiculì Funiculà (Ganz), il vecchio autista di un gerarca nazista, un gangster americano che vende armi e pornografia (Bucholz), due bambine molto sensibili, un gruppo di acrobati, un investigatore privato troppo contorto (Vogler), un altro angelo “nero” e cinico che forse rappresenta il destino (Dafoe), Peter Falk e Lou Reed che fanno se stessi. Cassel compie un’azione anomala e si trova a essere un umano, e da quel momento comincia a non capirsi. Gli piace bere, gli piacciono i soldi, insomma va alla deriva. Certo, gli uomini sono strani e hanno smarrito il senso di tutto, del bene e del male. Il senso generale della vita. Alla fine, grazie a un ultimo eroismo, Cassel ritorna angelo e ha molti elementi in più per fare il custode. È un film ingiudicabile. Se si ama Wenders l’unica scelta è un atto di fede. Per chi è indifferente ai temi del regista valgono certi episodi di straordinaria creatività, emozione e intelligenza. Intelligenza tutta tedesca. Wenders afferma continuamente la sua radice artistica che, non dimentichiamolo, è forse la più profonda, incidente e imponente del Novecento. Non può dunque mancare un richiamo al nazismo, all’espressionismo (suggestiva la citazione dell’ Urlo di Munch) e alla comunicazione diretta di una certa letteratura (e inoltre arte figurativa, teatro e cinema) che affrontava i temi per rappresentarli, ma soprattutto per risolverli. Con quell’inconfondibile chiave dolorosa e romantica. È una sorta di antropologico ritorno ingenuo. L’angelo dice: “Non siamo il messaggio, siamo i messaggeri”. La morale finale è che occorre essere buoni. Una dichiarazione di sentimento e di semplicità allarmante detta da Wenders, uno che pensa, soffre, e conosce, persino troppo. Una volta accettato il postulato si può anche pensare che sia buona la sua tesi: abbiamo dimenticato tutto, ricominciamo dal primo, naturale comandamento: non fare del male ai nostri simili.


Midnight in Paris

In programmazione: 05/04/2012

Descrizione

Gil (sceneggiatore hollywoodiano con aspirazioni da scrittore) e la sua futura sposa Inez sono in vacanza a Parigi con i piuttosto invadenti genitori di lei. Gil è già stato nella Ville Lumiêre e ne è da sempre affascinato. Lo sarà ancor di più quando una sera, a mezzanotte, si troverà catapultato nella Parigi degli Anni Venti con tutto il suo fervore culturale. Farà in modo di prolungare il piacere degli incontri con Hemingway, Scott Fitzgerald, Picasso e tutto il milieu culturale del tempo cercando di fare in modo che il ‘miracolo’ si ripeta ogni notte. Suscitando così i dubbi del futuro suocero.
Woody Allen ama Parigi sin dai tempi di Hello Pussycat e ce lo aveva ricordato anche con Tutti dicono I Love You. Nella sequenza di apertura fa alla città una dichiarazione d’amore visiva che ricorda
l-ouverture di Manhattan senza parole. Ma anche qui c’è uno sceneggiatore/aspirante scrittore in agguato pronto a riempire lo schermo con il suo male di vivere ben celato dietro lo sguardo a tratti vitreo di Owen Wilson.
Solo Woody poteva farci ‘sentire’ in modo quasi tangibile la profonda verità di un ‘classico’ francese che nella parata di personalità che il film ci presenta non compare: Antoine de Saint Exupery.
Il quale ne “Il piccolo principe” fa dire al casellante che nessuno è felice per dove si trova. Il personaggio letterario verbalizzava il bisogno di cercare sempre nuovi luoghi in cui ricominciare a vivere. Il Gil alleniano vuole sfuggire dalla banalità dei nostri giorni ma trova dinanzi a sé altre persone che esistono in epoche che ai posteri sembreranno fulgide d’arte e di creazione di senso ma non altrettanto a chi le vive come presente.
Se il Roy di L’uomo dei tuoi sogni era solamente uno scrittore avido di successo Gil è affamato di quella cultura europea di cui da buon americano si sente privo. Ma ha lo sguardo costantemente rivolto all’indietro. Forse, sembra dirci Woody, ha ragione ma è comunque indispensabile uno sforzo costante per cercare nel presente le ragioni del vivere e del creare.
A Gil Allen concede quella speranza che invece negava perentoriamente (e con ragione) a Roy. Ricordandoci (ancora una volta e con delle evidenti analogie con La rosa purpurea del Cairo) che nulla può consentirci di sfuggire a noi stessi e al nostro tempo e che forse (nonostante tutto) è bene così.


Faust

In programmazione: 02/02/2012

Descrizione

Quarta e ultima parte della tetralogia di Aleksandr Sokurov sulla natura del potere, Faust è l’unico personaggio letterario della partita, dopo Hitler (Moloch), Lenin (Taurus) e Hiroito (Il sole), ma è anche quello contenuto in nuce in tutti gli altri, per il carattere mitico e simbolico che porta in sé.
Il regista russo rilegge liberamente tanto l’opera di Goethe che quella di Mann, scegliendo l’ambientazione ottocentesca e mantenendo la lingua tedesca e l’idea tragica di fondo, per cui la condizione umana consisterebbe in un continuo errare. Sokurov inscena, dunque, questa (diabolica) perseveranza nell’errore costringendo i suoi personaggi a un procedere senza sosta, a una letterale erranza tra boschi, case, lande, ghiacciai. Il protagonista del film non si ferma un istante, tanta è la sua sete di sapere e tanta è la lontananza dalla meta. A questo movimento senza soluzione di continuità si aggiunge una forza opposta ma altrettanto intensa e inestinguibile che (co)stringe gli esseri umani presenti nell’inquadratura, obbligandoli a farsi largo l’uno sugli altri, a scavalcarsi ad ogni occasione. La gestualità è teatrale, esasperata, ma la sensazione di brulicante claustrofobia ci riporta anche alla pittura di Bosch, non a caso un artista che ha utilizzato il realismo per raccontare il male immateriale e i cui dipinti pullulano di creature dannate e sofferenti.
Visivamente grandioso, il Faust di Sokurov è attraversato da un’atmosfera mortifera dalla primissima all’ultima inquadratura. Il suo dottore è una creatura infelice, non affamato di sola conoscenza ma soprattutto di cibo, di sonno, di denaro e di contatto amoroso: bisogni fisiologici e materiali che collocano inequivocabilmente l’inferno su questa terra (non c’è traccia del prologo celeste e il conto degli individui in fila per firmare il patto è in continua espansione e riproduzione). Il paradosso tragico della vita espresso nell’opera è che l’uomo può giungere al divino solo con l’intervento del demonio: per questo quando Wagner chiede al dottor Faust dove si trovi l’anima, il medico -pur avendo indagato le viscere e ogni organo umano- deve ammettere che non l’ha trovata. Il suo potere è umano e dunque limitato.
Con un impiego di mezzi ingente ma anche assolutamente necessario e meritato, Sokurov allestisce uno spettacolo che appaga l’occhio, un’opera d’arte potente e affascinante che ribadisce nel mentre la validità atemporale del racconto. Uno spettacolo di quelli che non siamo più abituati a sostenere senza sforzo ma che ripaga davvero l’impegno che domanda.


The Tree Of Life

In programmazione: 12/01/2012

Descrizione

Texas, anni Cinquanta. Jack cresce tra un padre autoritario ed esigente e una madre dolce e protettiva. Stretto tra due modi dell’amore forti e diversi, diviso tra essi per tutta la vita, e costretto a condividerli con i due fratelli che vengono dopo di lui. Poi la tragedia, che moltiplica le domande di ciascuno. La vita, la morte, l’origine, la destinazione, la grazia di contro alla natura. L’albero della vita che è tutto questo, che è di tutte le religioni e anche darwiniano, l’albero che si può piantare e che sovrasta, che è simbolo e creatura, schema dell’universo e genealogia di una piccola famiglia degli Stati Uniti d’America, immagine e realtà.
L’attesa della nuova opera di uno degli sguardi più dotati e personali dell’arte cinematografica è ricompensata da un film tanto esteso, per la natura dei temi indagati, quanto essenziale. Popolato persino da frasi quasi fatte, che la genialità del regista riesce a spogliare di ogni banalità e a resuscitare al senso. Malick parla la sua lingua inimitabile, le cui frasi sono composte di immagini (tante, in quantità e qualità) e di parole (molte meno) in una combinazione unica, senza mai pontificare. Si ha più che mai l’impressione che con questo film, che parla a tutti, universalmente, non gli interessi comunicare per forza con nessuno, ma farlo innanzitutto per sé.
Testimone di una capacità rara di sapersi meravigliare, ha realizzato un film che non si può certo dire nuovo ma nel quale Terrence Malick si ripete come si ripropone il bambino nell’uomo adulto, per “essenza” vien da dire: ci si può vedere la maniera o, meglio, ci si può vedere l’autore.
Del film si mormorava addirittura che avrebbe riscritto la storia del cinema e in un certo senso The Tree of Life fa anche questo, senza inventare nulla ma spaziando dall’uso di un montaggio emotivo da avanguardia del cinema degli esordi ad una sequenza curiosamente molto vicina al finale del recentissimo Clint Eastwood, Hereafter. Il confronto, però, scorretto ma tentatore, non si pone: la passeggiata di Malick in un’altra dimensione è potente e infantile come può esserlo solo il desiderio struggente che nutre il bambino di avere tutti nello stesso luogo, in un tempo che contenga magicamente il presente e ogni età della vita. Ecco allora che il film non sarà nuovo ma rinnova, ritrovando un’emozione primigenia, fondendo ricordo e speranza. L’ultimissima immagine non poteva che essere un ponte.


Il racconto dei racconti

In programmazione: 12/11/2015

Descrizione

Il medioevo delle fiabe. Tre storie liberamente tratte dalla raccolta postuma (1634 – 1636) di Giambattista Basile, sono intrecciate in un labirinto narrativo di potente suggestione visiva.
Il primo film di Matteo Garrone in lingua inglese, girato in splendidi monumenti e ambienti naturali di mezza Italia è un assalto ai sensi e spiazza provocando grande genuina emozione. In concorso al Festival di Cannes 2015.

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La città perduta

In programmazione: 16/05/1996

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La Banda dei Ciclopi (criminali ciechi) rapisce bambini in un porto fatiscente e li consegna ai Krank che pagano con occhi artificiali. I Krank prelevano dal cervello dei bambini i sogni che loro non sanno più fare. Il gigante One si è visto portare via il fratellino adottivo Denrée e Miette, una bambina di nove anni, lo aiuterà a ritrovarlo. Film allucinato e raffinato proposto come opera d’apertura a Cannes nel 1995 e giunto nelle nostre sale solo nella stagione 1998/99. Il suo difetto sta forse nell’estrema ricercatezza collegata a un impianto fiabesco. Si tratta di una miscela che allontana due pubblici in un colpo solo: quello dei bambini e quello degli adulti.

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Underground

In programmazione: 11/04/1996

Descrizione

Belgrado 1941. Due amici un po’ patrioti e un po’ delinquenti combattono i tedeschi. Per salvarsi uno di loro, ferito, si nasconde, con altri, in una cantina. L’altro diventa un eroe. Dopo la guerra è un favorito di Tito. Continua comunque a tener nascosti gli altri, dicendo che la guerra non è finita. Passano i decenni. Quando il “sepolto” esce alla luce trova un’altra guerra, una sola cosa è cambiata: il suo paese non esiste più. La guerra adesso riguarda i serbi e i bosniaci. Nel frattempo molti sono morti, qualcuno si è sposato, sono nati figli. I fatti si ripetono ciclicamente. C’è sempre una guerra da combattere. I tanti anni passati underground rappresentano l’inutilità di una certa era, quella di Tito, appunto, che non era niente, non era comunismo, non libertà, ma solo attesa di niente. Alla fine tutti sono tornati giovani e banchettano in riva a un fiume. Una striscia di terra si stacca dalla riva. È un altro pezzo che abbandona quella terra piena di dolore. Film travolgente, allegorico e potente. Pieno di simboli, di dolore e di voglia di vivere per reazione. Ci sono anche i caschi blu che trasportano sottoterra, underground, i profughi in Italia. Ci sono tante citazioni cinematografiche. Ricordiamo quella dei due sposi che si ritrovano sott’acqua, omaggio di Kusturika al Jean Vigo dell’ Atalante. Vincitore della Palma d’Oro a Cannes nel 1995.

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Escoriandoli

In programmazione: 27/11/1997

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Il produttore di Ciprì e Maresco ha prodotto un altro film provocatorio, ma gli è mancata l’eco che i due astuti registi sanno suscitare attorno alle loro opere. Così Rezza, che non ha nulla da invidiare loro, mette in scena corteggiatori che invecchiano all’improvviso, poeti tormentati dal rimorso per aver pestato un piede, cadaveri parlanti e via riprendendo. Lo stile surreale è supportato da un’indubbia professionalità.

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Arizona dream

In programmazione: 08/04/1999

Descrizione

Film diretto da Kusturika nel ’93. Presentato ai giornalisti al Mifed di Milano. Approda da noi solo nell’estate del ’98. L’America secondo un cineasta jugoslavo, dunque, davvero “nel paese delle meraviglie”. Axel (Depp) dovrebbe, per volontà dello zio (Lewis), fare il venditore di Cadillac, ma preferisce convivere con Faye Dunaway in una fattoria e costruire una rudimentale macchina volante. A complicare i rapporti c’è la figlia della signora, votata al suicidio. Nel frattempo conosciamo una famiglia di esquimesi coi suoi cani, e un pesce che ha entrambi gli occhi dalla stessa parte. La ragazza alla fine riesce a morire, così come il vecchio zio. Ma il pesce si libera allegro nell’aria. L’America è proprio complicata. E lui, Kusturica, la esorcizza con le sue invenzioni, le sue parabole fantastiche e grottesche, a scapito del rigore stilistico occidentale, ma a favore della fantasia per la fantasia, che non è mai cattiva cosa.

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