Tony Quentin guida uno scuolabus e guarda la vita dallo specchietto retrovisore. Tutti giorni lo stesso tragitto fino a quando il cuore si ferma cambiando la sua prospettiva esistenziale. Sopravvissuto all’infarto, riprende la sua vita, a cui adesso vuole dare una chance. Per recuperare il tempo perduto rivede la ex moglie e rintraccia la figlia che non ha mai conosciuto. Maria ha una trentina d’anni e insegna la rumba nel cuore di Parigi. Timoroso e impacciato, Tony si iscrive al suo corso con un falso nome e si lascia guidare dalla musica.
Los Angeles, 1973. Gary Valentine, adolescente intraprendente e fanfarone, incontra Alana Kane, venticinquenne sul cammino dell’indipendenza. Lei gli porge specchio e pettine per la foto dell’annuario scolastico, lui le dichiara il suo amore eterno. Lei rifiuta e lui insiste. In cosa crede Gary? A cosa si oppone Alana? Dieci anni li separano ma tutto sembra unirli. Irresistibilmente attratti l’uno dall’altra, non sanno come amarsi, non sanno nemmeno se si amano o se amano soltanto l’idea di amarsi. Tra choc petrolifero, e crepuscolo della Hollywood classica, il loro ipotetico grande amore parte, avanza, sterza, vaga, sosta, svolta, si riallinea in fondo alla notte e alla San Fernando Valley.
Newcastle, 1961. Kempton Bunton ha sessant’anni e qualcosa da dire, sempre. Contro il governo, contro la stupidità, contro l’ingiustizia sociale soprattutto, che combatte come Robin Hood nella Contea di Nottinghamshire. Ma la battaglia più strenua è quella domiciliare con Mrs. Bunton, la consorte inasprita dalla vita e dalla morte prematura della loro figlia. Kempton scrive drammi che nessuno leggerà e si batte con la BBC per abolire il canone agli anziani e ai veterani di guerra. Metà del tempo lo passa a opporsi, il resto a cercare un lavoro. Per contribuire all’economia familiare, il figlio minore ruba alla National Gallery il ritratto del Duca di Wellington. Rimproverato il suo ragazzo per il gesto, Kempton ne diventa complice chiedendo un riscatto al governo inglese da reinvestire in opere di bene. L’imprevisto, però, è dietro il corner.
Un uomo decide di vendicarsi di tutti quelli che gli hanno fatto del male riunendoli in un luogo improbabile; un gangster capita per caso nel diner dove lavora la figlia di una delle sue vittime; un diverbio fra automobilisti si trasforma in un massacro grandguignolesco; un ingegnere vessato dalle multe trova il modo di vendicarsi; un incidente automobilistico dà il via ad una gara fra avvoltoi; un matrimonio da favola sfocia in un’escalation di insulti e ricatti.
Un piccolo barbiere ebreo di una cittadina tedesca somiglia moltissimo al dittatore che ha dato il via ad una campagna razzista. Al pover’uomo ne capitano di tutti i colori, ma sfruttando la somiglianza si toglie anche qualche soddisfazione. Il film ha ottenuto 5 candidature a Premi Oscar, In Italia al Box Office Il grande dittatore ha incassato 515 mila euro .
Guido è un regista, quarantenne, un po’ stanco. Tutto ciò che lo riguarda è stanco: il rapporto con la moglie, col suo produttore, con gli amici, persino con l’amante. Naturalmente l’ispirazione si è fatta sottile, le idee sono rare e astratte, la pigrizia avanza. Ha fatto costruire un’immensa e costosa impalcatura che forse servirà per un film di fantasia, forse. Infatti lo stesso Guido non sa perché l’abbia fatta costruire. Intorno a lui si muovono tutti i “fenomeni” del cinema: tecnici che urlano, amanti di produttori, velleitari che propongono sceneggiature, anziane attrici che aspirano a un ultimo colpo di coda. Guido rincorre idea dopo idea, tutte scialbe e abbandonate. Un critico di cinema dal linguaggio inverosimilmente ermetico gli smonta una per una tutte le iniziative. Cerca un po’ d’aiuto in un alto prelato, che in risposta alle sue angosce gli parla di cardellini. Per fortuna la sua fantasia può correre liberamente nel passato, nell’età dell’adolescenza, nella sua prima terra ai tempi della scuola e delle prime sensazioni. I timori, i misteri, le curiosità, le prime eccitanti trasgressioni.
Il regista dà un ritratto visionario di Roma in una sorta di documentario fantastico. Così, a scene che ricostruiscono l’arrivo del giovane Fellini nella capitale ne susseguono altre che illustrano, grottescamente, la Roma di oggi e di ieri. Un giovane di provincia arriva alla stazione Termini trovandosi di fronte una realtà caotica e contraddittoria. Le inquadrature, anche se sarebbe meglio parlare di veri e propri quadri, si susseguono senza nessun legame apparente, passando dal lirismo alla satira, senza soluzione di continuità. La città appare trasfigurata, dal clima fascista degli anni trenta ’30 il regista passa allo sfarzo degli anni ’70 con un racconto che conduce negli angoli più nascosti e impensabili della città, passando per i ritratti sotterranei di fantasmi moderni e i caratteri misteriosi di una suggestione evocativa.
Film che ha chiuso il Festival di Roma 2020. In questo film molto autobiografico, Francesco Bruni parla di cinema, famiglia, relazioni ma soprattutto di vita, quella bellissima e incasinata che a volte malediciamo ma alla quale restiamo aggrappati anche quando ci porta altrove.
In questo ultimo film di Woody Allen si racconta di una coppia americana in viaggio in Spagna al Festival di San Sebastian. L’eterna ricerca esistenziale di W. Allen che regola i suoi conti da lontano rispetto all’establishment americano. L’alter ego del regista dispensa in questo film consigli per vivere più a lungo piuttosto che ricordare alle persone che devono morire. Perché in quest’ultimo film di Allen, anche la morte è stanca di giocare a scacchi con la vita.
Odile, un dirigente d’azienda, è sposata con il debole e furtivo Claude e sono una coppia della media borghesia parigina, sommersa dalla routine. In passato Odile era vicino all’imprenditore di successo Nicolas, ora sposato con figli e tornato a Parigi dopo un’assenza di otto anni. Odile sta cercando un appartamento nuovo e più ampio dall’agente immobiliare Marc di cui si innamorerà sua sorella minore, Camille, che ha appena completato la sua tesi di dottorato in storia ed è una guida turistica di Parigi. Simon, invece, dipendente del despota Marc, partecipa regolarmente ai tour di Camille perché è attratto da lei, sebbene affermi di fare ricerche sui suoi drammi radiofonici storici. Anche Nicolas sta cercando un appartamento, dal momento che spera che alla fine la sua famiglia lo raggiunga a Parigi e Marc gli fa visitare almeno una trentina di appartamenti.
Bree è un transessuale che vive a Los Angeles ed è in attesa dell’ultimo intervento, quello che lo renderà definitivamente donna. Un giorno riceve la chiamata da un carcere di New York: è Toby, un ragazzo in cerca del padre che non ha mai conosciuto. Bree capisce di essere il padre del ragazzo, nato da un rapporto occasionale avuto ai tempi del college. Per chiudere con il suo passato Bree decide di incontrarlo e vola a New York.
Disavventure di un emigrato italiano in Svizzera: l’uomo, benché lavori, perde il permesso di soggiorno; un compatriota lo assume ma poco dopo, entrata in crisi l’azienda e persa la moglie, si suicida. Il protagonista, dopo essersi abbassato a un lavoro umiliante, decide di farsi passare per svizzero ma si fa scoprire e cacciare. Sul treno che lo riporta in Italia ha un ripensamento e torna indietro, deciso a non arrendersi.
Una scrittrice cambia appartamento per isolarsi e scrivere serenamente. Ma nella casa a fianco c’è uno studio psicoterapico e lei comincia ad ascoltare le sedute dei pazienti. Soprattutto quella di Hope.
Napoli, 1942: la popolazione vive una profonda crisi a causa della Seconda Guerra Mondiale. Unica trasposizione cinematografica della famosa commedia di Eduardo, realizzata dallo stesso autore con la straordinaria partecipazione di Totò. La commedia, rappresentata per la prima volta il 15 marzo 1945 al teatro San Carlo di Napoli, entusiasmò ma, soprattutto, commosse il popolo napoletano prima e, in seguito, tutta l’Italia ancora intenta a ricostruirsi dalle macerie della guerra.
Alcuni anni prima della guerra mondiale, Mosca invia a Parigi tre agenti: portano con sé i gioielli della granduchessa Swana, che il regime sovietico ha confiscati e vuole vendere. La granduchessa decide di opporsi, con tutti i mezzi, alla vendita, e dà al proprio amante, il conte Leon, l’incarico di agire in questo senso. Il conte avvicina i tre agenti e riesce a farseli amici, iniziandoli alle delizie della dissipazione parigina. Il contegno scandaloso dei tre agenti provoca l’arrivo a Parigi di un ispettore sovietico, cioè di Ninotchka, giovane comunista, bella ed austera.
Il regista dà un ritratto visionario di Roma in una sorta di documentario fantastico. Così, a scene che ricostruiscono l’arrivo del giovane Fellini nella capitale ne susseguono altre che illustrano, grottescamente, la Roma di oggi e di ieri. Un giovane di provincia arriva alla stazione Termini trovandosi di fronte una realtà caotica e contraddittoria. Le inquadrature, anche se sarebbe meglio parlare di veri e propri quadri, si susseguono senza nessun legame apparente, passando dal lirismo alla satira, senza soluzione di continuità. La città appare trasfigurata, dal clima fascista degli anni trenta ’30 il regista passa allo sfarzo degli anni ’70 con un racconto che conduce negli angoli più nascosti e impensabili della città, passando per i ritratti sotterranei di fantasmi moderni e i caratteri misteriosi di una suggestione evocativa.
Lady D, Édith Piaf, Brigitte Macron, Beyoncé, Salma Hayek e le altre scalpitano davanti al cancello dell’Envol, centro di accoglienza diurno ubicato nel Nord della Francia e destinato a ricevere donne senza fissa dimora. Nascoste dietro agli pseudonimi celebri che si sono scelte per preservare il loro anonimato, cercano e trovano per qualche ora riparo tra quelle mura. Una doccia, un caffè, qualche ora di calore umano le confortano e le rimettono in piedi. Almeno fino al giorno in cui Audrey e Manu, che dirigono con polso e benevolenza il centro, non ricevono lo ‘sfratto’. I fondi sono sospesi secondo le disposizioni della municipalità che ritiene il tasso di reinserimento insufficiente e non vuole più dispensare senza risultati. Ma Audrey e Manu con l’aiuto di Hélène, psicologa trascurata dal marito, non si arrendono e decidono di installare clandestinamente un laboratorio terapeutico e un dormitorio.
Nessun animale, pianta o prodotto può essere trasferito dall’area greca di Cipro a quella turca e viceversa. Così dice la legge. E quando Jimi, il cane che lo spiantato musicista Yiannis aveva comprato con la sua ex, attraversa accidentalmente la zona cuscinetto dell’ONU (quella che divide le due parti dell’isola), bisognerà fare di tutto per riportarlo indietro. Anche se questo, per il casinista Yiannis, significherà ritardare i suoi piani di emigrare verso nuove opportunità. Riprendersi il cane, però, è un’impresa omerica.
Il regista Ferrand sta girando il film “Vi presento Pamela” negli studi della Victorine di Nizza. Il soggetto ha come base la storia di una giovane inglese appena sposata a un ragazzo altrettanto giovane. La donna finisce per innamorarsi del suocero, che dopo essere fuggito con lei viene ucciso dal figlio tradito. Alla lavorazione del film si intrecciano le storie private dei protagonisti.
Una famiglia borghese si riunisce alla morte della vecchia madre di Milou. Arriva il fratello di quest’ultimo con la moglie e la figlia e molti altri. Ovviamente verranno a galla le negatività dei personaggi proprio mentre si apprende la notizia dei disordini parigini del maggio ’68. Dopo essersi lasciati andare al nuovo corso, nel momento di crisi politica scapperanno in montagna. Un tentativo poco riuscito di voler identificare i personaggi nella maggioranza che si fece prendere dall’impeto di novità e che poi si dileguò appena nacquero dei problemi.
C.C. Baxter è contabile presso una grande compagnia di assicurazioni, a New York. Per tentare di fare carriera, affitta il suo appartamento ai dirigenti per i loro incontri extraconiugali, nonostante in questo modo, tra ritardi e imprevisti, non riesca quasi a vivere a casa propria. Le cose per lui si complicano terribilmente quando si innamora di Fran Kubelik, ascensorista della compagnia, amante del capo del personale, a sua volta interessato all’utilizzo dell’appartamento di Baxter.
La donna elettrica, il film diretto da Benedikt Erlingsson, racconta la storia di Halla (Halldóra Geirharðsdóttir), che sembra una donna come le altre, ma dietro la routine di ogni giorno nasconde una vita segreta: armata di tutto punto compie spericolate azioni di sabotaggio contro le multinazionali che stanno devastando la sua terra, la splendida Islanda. Quando però una sua vecchia richiesta d’adozione va a buon fine e una bambina si affaccia a sorpresa nella sua vita, Halla dovrà affrontare la sua sfida più grande…
Un buon padre di famiglia in cerca di alloggio, dopo mille tentativi trova una splendida dimora, ampia, confortevole, a buon mercato. Non sa che è un’ex casa di tolleranza (la chiusura per la legge Merlin è avvenuta solo qualche mese prima). Guai, equivoci a non finire, litigate giornaliere con ex clienti che sperano (vedendo le persiane spalancate) in un’inopinata riapertura.
Christian è il curatore di un importante museo di arte contemporanea di Stoccolma. Una mattina, sulla strada per il lavoro, soccorre una donna in pericolo e si scopre derubato del telefono e del portafoglio. Al museo, intanto, lui e la sua squadra stanno lavorando all’inaugurazione di una mostra, che prevedere l’installazione dell’opera “The Square”: un quadrato delimitato da un perimetro luminoso all’interno del quale tutti hanno uguali diritti e doveri, un “santuario di fiducia e altruismo”. Su suggerimento di un collaboratore, Christian scrive una lettera in cui reclama i suoi averi rubati, innescando una serie di conseguenze che spingono la sua rispettabile ed elegante esistenza in una vertigine di caos.
Una figlia che ha perso il senso dell’umorismo ed un padre che fa di tutto per farle tornare il sorriso. Una candidature ai premi Oscar – premiato al Festival di Cannes – una candidatura ai Golden Globs – una candidatura a BAFTA – cinque premi agli EuropeanFilm Awards – una candidatura a Cesar – sei candidature a London Critics.
Isidoro, per i familiari Easy, ha 35 anni ed è stato una promessa dell’automobilismo competitivo fino a quando non ha cominciato a prendere peso.
Ora vive con la madre e si imbottisce di antidepressivi. Fino al giorno in cui il fratello gli chiede un favore speciale…
Uno dei film più coraggiosi del cinema italiano, un road movie che fa sorridere senza smettere di far riflettere.
Alessandro, ventidue anni, è trasteverino ignorante e turbolento; Giorgio, ottantacinque, è un poeta dimenticato. I due vivono a pochi passi l’uno dall’altro, ma non si sono mai incontrati, finché Alessandro è costretto ad accettare un lavoro come accompagnatore di quell’elegante signore in passeggiate pomeridiane.
Da questo episodio è nata in Bruni l’idea del film nel quale si percepisce ad ogni battuta la sua straordinaria capacità di scrittura attenta, in ogni situazione, ad evitare le secche della retorica e la melassa del sentimentalismo.
Il film ha ottenuto 5 candidature e 3 vittorie ai Nastri d’Argento.
Un mattino, al risveglio, il protagonista avverte un fastidioso fischio alle orecchie. Al contempo trova sul frigorifero un post it, lasciato dalla sua compagna, che lo informa che è morto il suo amico Luigi e gli lascia l’indirizzo della chiesa dove in serata si svolgerà il funerale. La giornata per lui trascorrerà nel tentativo di risolvere il problema uditivo e nel cercare di capire chi possa essere questo amico di cui non ricorda nulla.
Alessandro Aronadio, a sei anni di distanza da Due vite per caso fa nuovamente centro con un film in cui riflette, con i toni della commedia, su questo pazzo pazzo pazzo mondo.
Elvis Presley ha un sogno: essere nominato agente federale dal presidente Richard Nixon. Agli inizi degli anni Settanta l’America è in ambasce. Manifestazioni contro la guerra in Vietnam, rivendicazioni delle Black Panthers, debutto del movimento Hippie e degrado dei costumi richiedono un intervento immediato ed eroico. Deciso a essere lui il local hero che mette ordine nel disordine sociale, Elvis chiede udienza alla Casa Bianca. Ma il presidente Nixon snobba la rock star, che lascerebbe volentieri alla porta senza l’intervento della figlia, fan accanita di Presley, e dei suoi consiglieri che ritengono quell’incontro provvidenziale alla luce delle prossime elezioni. Ricevuto nello studio ovale, Elvis ottiene l’investitura in cambio di un autografo e di una fotografia che immortala il celebre incontro.
Testa a testa comico e crepuscolare tra un presidente e un idolo, Elvis & Nixon mette in schermo l’incontro improbabile ma autentico tra Elvis Presley e Richard Nixon. Attestato da una foto, il confronto celebre ma poco documentato ebbe luogo nel dicembre del 1970, quando Nixon cercava con ogni mezzo appeal ed elettori e Presley veniva raggiunto e superato dallavague del 68. Sorpreso da Liza Johnson in piena transizione, tra il come back riuscito di “Suspicious Minds” e la sua trasformazione in attrazione da luna park, soppiantato da una nuova generazione di rocker inglesi che disprezzava, Elvis è interpretato da Michael Shannon, che costruisce un ritratto complesso e grottesco di un cantante consapevole del mito che era diventato. Di fronte a lui, il presidente di Kevin Spacey, che abita ancora lo studio ovale e cortocircuita Underwood e Nixon (House of Cards) in uno scarto spazio-finzionale, facendo del secondo un grande personaggio comico.
Meditazione sulla decadenza di un idolo e insieme farsa sul potere, Elvis & Nixon è un film d’attori, una parentesi surreale che riflette sulla maniera in cui Elvis risuona con la sua epoca e inevitabilmente con la nostra. Nel 1970 Elvis non è ancora la balena tronfia che si arena sulle scene di Las Vegas ma non è più nemmeno il cantante suadente che rivoluzionò la musica popolare diciassette anni prima. Il meglio dell’artista è già passato e il peggio attende dietro l’angolo. Elvis muore sette anni dopo obeso e sconfitto nel suo bagno di Graceland. In questo scarto si infila Michael Shannon incarnando sobriamente quello che restava di un mito, il suo precipitato sul fondo: un bianco del Sud, ossessionato dalle armi, dalla bandiera americana e dai costumi ridondanti di lustrini. Shannon trova la distanza ideale tra sé e il personaggio, cercando Elvis e trovando un Elvis. Perché l’attore non vuole assomigliargli, dell’artista ricrea una traccia, un’aura, un movimento. Attraverso una costruzione inventiva e il registro della commedia, la Johnson incontra il presidente più conservatore degli Stati Uniti con un musicista ribelle in cerca di un distintivo per difendere sotto copertura una nazione minacciata a tutti i livelli.
Minacciata (soprattutto) nella supremazia wasp, di cui Elvis si fa portatore accanito, farcito di idee semplicistiche sul mondo, disconnesso sulla realtà e talmente abituato a ottenere quello che vuole da non percepire più la soglia del ridicolo. Con gelosia malcelata per i Beatles e i Rolling Stones, conquista la Casa Bianca senza intonare una nota, come la commedia da camera (ovale) di Liza Johnson che non lo ‘intende’ cantare. Perché Elvis & Nixon affronta l’inizio della fine di Presley, a cui non risparmia colpi, frizzi e lazzi.
Caustico con il suo mito, il film descrive un uomo guastato dalla celebrità, che trova normale farsi chiamare ‘capo’ dai suoi amici d’infanzia. Più travestito che vestito, Elvis è prigioniero di Presley, un eroe tragico davanti a cui anche Nixon finisce per cedere. Liza Johnson apre la porta dello studio ovale, rievoca i loro fantasmi e li osserva, nel bene e nel male, fare la storia. Una storia americana.
A Beiurut, alcune donne lavorano in un istituto di bellezza: Layale (Nadine Labaki), innamorata di un uomo sposato, Nisrine (Yasmine Al Masri), che sta per sposarsi e non sa come dire al futuro sposo che ha già perduto la verginità, Rima (Joanna Moukarzel), che non riesce ad accettare di essere attratta dalle donne, Jamale (Gisèle Aouad), ossessionata dall’età e dal fisico, e infine Rose (Siham Haddad), che ha sacrificato i suoi anni migliori e la sua felicità per occuparsi della sorella Lili (Aziza Semaan). Nel salone, tra colpi di spazzola e cerette al caramello, si parla di sesso e maternità, con la libertà e l’intimità propria delle donne.
Nadine Labaki, insieme protagonista e regista del film, ci propone un affresco sulle donne, che non mancherà di andare dritto al cuore delle spettatrici, ma non solo. Un acquerello a tinte delicate, mai volgari, che tratta però temi di scottante attualità: la guerra, la convivenza tra cristiani e musulmani, il mischiarsi di abitudini ed etnie differenti. Stupiti, contempliamo come i problemi del mondo femminile siano sempre gli stessi, anche se il progresso sembra essersi fermato agli anni ’80. Le donne fanno scudo, insieme, per affrontare le difficili realtà da cui sono circondate ed assalite.
Con colori e fotografia degni dei pittori fiamminghi, Labaki poggia lo sguardo sulle dolci malinconie quotidiane, senza cadere nello scontato o nello stucchevole, e riuscendo a raccontare ben sei storie in una sola, senza che nessuna prenda il sopravvento. Narra attraverso gli occhi, i suoni, gli odori, in modo così pregnante da convincerci di poter toccare e assaporare, come se fossimo realmente immersi nell’atmosfera della ben bilanciata sceneggiatura.
Una parola a parte va indubbiamente spesa per la colonna sonora, dosata con saggezza, sempre presente e non stancante, che non mancherà di far ricordare il suo autore, Khaled Mouzanar.